Rivolgersi ad uno psicologo significa prendersi cura del proprio benessere psicologico, che va di pari passo con quello fisico.

Affidarsi ad un professionista comporta una presa di coscienza importante e la volontà di fronteggiare un disagio, che se presente da tempo, può influenzare la qualità della propria vita e la relazione con le persone che abbiamo accanto.

Il disagio può emergere in corrispondenza ad eventi specifici (separazioni, lutti, cambiamenti improvvisi), può essere legato a particolari fasi di vita (adolescenza, genitorialità, invecchiamento) o limitare il proprio benessere a causa di sintomi persistenti come ansia, panico, umore depresso, difficoltà relazionali.

Riuscire a chiedere aiuto è il primo passo verso il cambiamento.

Solitamente, di fronte ai vissuti di sofferenza e di disagio, si attiva in noi una sorta di test di sopravvivenza, che segue il motto del “ce la devo fare da solo”, utile per riconoscere i propri limiti ma che diventa controproducente quando ammettere di aver bisogno dell’altro equivale ad un fallimento personale.

NESSUNO SI SALVA DA SOLO.

L’aiuto dello psicologo è un aiuto non giudicante, tutelato dal segreto professionale, fondato su una comprensione profonda e su metodi e tecniche specifiche e scientifiche.

L’esperienza di un percorso di terapia psicologica è molto simile a quello che i giapponesi chiamano “kintsugi”: quando i giapponesi riparano un oggetto rotto valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con dell’oro, donandogli un aspetto nuovo grazie alle “preziose cicatrici”.

Ogni pezzo riparato è di conseguenza unico e irripetibile, proprio grazie alle sue ferite e alle irregolarità delle riparazioni.

Allo stesso modo, imparare a non nascondere i dolori e le fragilità, anzi, conoscerle fino in fondo, permette di esaltare il loro valore e di trasformarle in forza presente e futura.